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Responsabilità Amministrativa degli enti per infortunio sul lavoro: il concetto di interesse e vantaggio e l'importanza dell'Organismo di Vigilanza

23/2/2016

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Cass. Pen. sentenza n. 2544/2016 Sez. IV
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in tema di responsabilità amministrativa dell'ente in caso di infortunio, ribadendo alcuni princìpi già espressi nella sentenza delle Sezioni Unite relativa al caso Thyssen-Krupp.
In particolare, la pronuncia in commento torna sulla differenza tra il concetto di interesse e quello di vantaggio, quali criteri di imputazione oggettiva della responsabilità, affermando che: "ricorre il requisito dell'interesse quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di conseguire l'utilità per la persona giuridica". Il requisito del vantaggio ricorre invece, secondo la Suprema Corte: "quando la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro".
Si vede dunque come, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il criterio maggiormente compatibile con l'imputazione della responsabilità dell'ente sia proprio quello del vantaggio, dal momento che la violazione della norma cautelare contenuta nella fonte normativa (tipicamente il D.Lgs. 81/08) deriva, nella maggior parte dei casi, da una "disattenzione" piuttosto che da una "scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa".
Molto interessante appare, inoltre, la sentenza in commento, nella parte in cui si sofferma sul profilo della imputazione soggettiva della responsabilità dell'ente. Sul punto, la Corte di Cassazione afferma la tassatività dei requisiti dettati dall'art. 6 del D.Lgs 231/01, che, soli, possono contribuire ad una pronuncia di esclusione dell'illecito amministrativo della persona giuridica. Si afferma dunque che: "la responsabilità dell'ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commesse dai suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa soltanto dimostrando l'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi e l'attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l'aggiornamento e l'osservanza dei modelli adottati". Con tale ultima affermazione, la Suprema Corte ribadisce ulteriormente l'insufficienza - ai fini dell'effetto esimente  -dell'adozione di sistemi di gestione (certificati o secondo linee guida), i quali per raggiungere l'obiettivo "processuale" debbono sempre essere integrati dai requisiti precettivi previsti dal D.Lgs 231/01.
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Le modifiche alla parte VI bis del D.Lgs 152/06: il regime delle prescrizioni in materia ambientale

9/2/2016

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Una delle novità meno "pubblicizzate" della L. 68/2015 ma, probabilmente destinata ad avere maggiore impatto nella vita delle aziende in tema ambientale è rappresentata dalla introduzione all'interno del D.Lgs 152/06 della causa di estinzione delle contravvenzioni attraverso il sistema delle "prescrizioni" impartite dall'organo di controllo, già ampiamente in uso in materia di sicurezza sul lavoro.
​L'art. 318-bis del D.Lgs. 152/06 prevede dunque oggi che nelle ipotesi: "contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette", l'organo di vigilanza (tipicamente ARPA) possa emettere nei confronti del contravventore un'apposita prescrizione "asseverata tecnicamente".
Il procedimento prosegue, così, esattamente come previsto in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con la comunicazione della notizia di reato al PM e della sospensione del procedimento penale, nell'attesa che il contravventore adempia alla prescrizione con conseguente ammissione, nel caso in cui l'adempimento venga ritenuto satisfattivo da parte dell'organo di controllo, al pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda prevista per legge. Una volta che il contravventore abbia adempiuto al pagamento, l'organo ne dà comunicazione al Pubblico Ministero che richiede al GIP l'archiviazione del procedimento.
Rispetto alla disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro (D.lgs 758/94) esistono tuttavia alcune differenze.
In primo luogo, le ipotesi contravvenzionali a cui può essere applicato il regime "agevolato" di estinzione sono solo quelle "che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette". Contrariamente a quanto previsto in materia di sicurezza ed igiene del lavoro in cui si individua un parametro oggettivo: "reati ... puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda", in materia ambientale viene introdotta una valutazione del tutto soggettiva (il pericolo concreto e attuale di danno) che, nella pratica, rischia di portare medesime situazioni a valutazioni differenti da parte di organi di controllo differenti.
Viene inoltre introdotta la necessità che la contravvenzione impartita al contravventore dall'organo di controllo o dalla polizia giudiziaria sia: "asseverata tecnicamente dall'ente specializzato competente nella materia trattata".
La norma non individua in maniera precisa i contenuti né gli enti idonei alla emissione dell'asseverazione.
Qui di seguito si riporta dunque l'indicazione operativa recentemente fornita da ARPA Emilia Romagna: "Anche se la legge non dà un chiaro indirizzo in merito, riteniamo che con l’asseverazione non si debba valutare la corretta applicazione della prescrizione, ma che il suo ne sia quello di veri ca della validità tecnica dell’intervento proposto volto a superare la situazione di infrazione, senza sovrapporsi o richiamare le prescrizioni previste dall’autorità competente.
Non viene speci cato quale sia l’ente preposto all’esercizio dell’asseverazione, ma devono essere riconosciute le sue competenze tecniche in materia ambientale.
Non vi è dubbio che le Agenzie ambientali rientrino tra i soggetti abilitati a questo compito, d’altra parte non sono gli unici soggetti ad avere queste competenze. Credo quindi che si possa licenziare questo capitolo affermando che le Arpa/Appa devono svolgere questo ruolo (non possono essere escluse e non si possono esimere dal compito di asseverare le prescrizioni); d’altra parte i corpi di polizia giudiziaria si possono rivolgere ad altri soggetti che le autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali o le procure possono individuare come abilitati a tale funzione" 
(fonte: Ecoscienza n. 4 - 2015). 
Occorre, infine, osservare che, per le medesime contravvenzioni per le quali è prevista la possibilità del procedimento di estinzione "agevolata", è oggi possibile che venga contestata la responsabilità dell'ente ai sensi del D.Lgs 231/01.
Ciò comporta, ad avviso di chi scrive, il potenziale verificarsi di ipotesi sanzionatorie contrastanti tra loro, in termini di efficacia afflittiva. Da una parte infatti, nei confronti della persona fisica (il "contravventore") il reato si estinguerebbe con il mero pagamento di una sanzione pecuniaria estremamente ridotta (la quarta parte del massimo dell'ammenda); dall'altra parte, nei confronti dell'ente tale meccanismo non sarebbe applicabile ed il procedimento (in virtù del principio dell'autonomia delle responsabilità dell'ente di cui all'art. 8 del D.Lgs 231/01) proseguirebbe nonostante l'estinzione del reato presupposto con la potenziale applicazione di sanzioni particolarmente severe. 
Si veda, ad esempio, il caso di una violazione dell'art. 256 comma 1 lett. a) D.Lgs 152/06 ("gestione abusiva di rifiuti non pericolosi"): nei confronti della persona fisica si arriverebbe all'estinzione del reato in fase preprocessuale, tramite l'adempimento alla prescrizione ed il pagamento di una sanzione pari ad € 6.500 (1/4 del massimo dell'ammenda parti ad € 26.000), mentre l'ente potrebbe essere sanzionato, all'esito di un processo di accertamento della responsabilità ad una sanzione pari a 250 quote ai sensi dell'art. 25-undecies del D.Lgs 231/01, ovvero con una sanzione che va da un minimo di € 25.800 ad un massimo di € 287.200.
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    Francesco Piccaglia De Eccher

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