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La Suprema Corte sui concetti di "interesse" e "vantaggio" in materia di illecito ambientale

28/9/2016

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Quella appena scorsa è stata una estate di particolare attività per la Corte di Cassazione in materia ambientale.
Tra le sentenze che destano maggiore interesse può essere senza dubbio segnalata la n. 31210, pronunciata dalla IV sezione alla fine di luglio.
Nella motivazione in commento, la Suprema Corte si occupa di chiarire ulteriormente la portata dei concetti di interesse e di vantaggio - quali presupposti per l'astratta configurabilità dell'illecito para-penale previsto dal D.Lgs 231/01 - declinandone la portata rispetto all'illecito ambientale.
Nell'argomentazione che porta alla dichiarazione di inammissibilità per manifesta infondatezza dell'impugnazione del ricorrente, il Giudice di legittimità chiarisce, in primo luogo, il confine dell'onere della prova, affermando: "il sistema che ne discende configura una ipotesi di responsabilità per fatto proprio colpevole e, provato l'illecito, ricade sull'ente l'onere di dimostrare di avere efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli gestionali ed organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi".
La Corte, superato il primo argomento in discussione, si occupa poi della definizione del momento in cui il requisito del vantaggio vada individuato, affermando che la sua sussistenza non vada ricercata rispetto all'evento-reato (inquinamento, disastro, etc.) ma in una fase cronologicamente precedente, ovvero allorquando le cautele potenzialmente idonee ad evitare l'evento non siano state poste in essere.
Afferma dunque la quarta sezione: "è appena il caso di soggiungere che il vantaggio, ovviamente, non deriva dal disastro, dalle morti o dalle lesioni procurate, ma dal risparmio di spesa che avrebbe impedito simili eventi".
La sentenza si occupa, infine, di chiarire la ontologica distinzione tra il concetto di interesse e quello di vantaggio, ricordando la possibilità della loro presenza alternativa e che l'uno attiene ad una valutazione ex ante rispetto alla commissione del reato presupposto, mentre l'altro si manifesta solo in seguito alla consumazione del reato.
A tale riguardo, i Giudici di legittimità concludono affermando: "il requisito dell'interesse dell'ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell'evento ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un'utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio quando la mancata adozione delle cautela risulti essere l'esito non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d'impresa: pur non volendo il verificarsi dell'evento, l'autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell'ente. 
Ricorre invece il vantaggio per l'ente quanto la persona fisica, agendo per conto dell'ente, anche in questo caso non volendo il verificarsi dell'evento ha violato sistematicamente le norme cautelari e, dunque, ha realizzato una politica d'impresa disattenta, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto
".
Dal principio di diritto pare potersi evincere che il requisito dell'interesse per l'ente sia compatibile solo in ipotesi di fattispecie sorrette dal dolo, mentre per le ipotesi colpose, l'unico indice ricercabile sia il vantaggio.

Cass. Pen. n. 31210 del 20.7.2016 IV sez.
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    Francesco Piccaglia De Eccher

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