Studio Legale Piccaglia
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L'apparato normativo delle deleghe alla prova delle moderne organizzazioni aziendali

7/1/2016

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Ormai da alcuni anni, anche sulla spinta dei più moderni orientamenti dottrinali[1] e di prassi, la giurisprudenza ha dato riconoscimento effettivo alla definitiva disarticolazione tra il concetto di datore di lavoro “formale” (il titolare del rapporto di lavoro) e “sostanziale” (il titolare delle prerogative decisionali e di spesa), già peraltro stabilita normativamente all’art. 2 del D.Lgs 81/08[2].
L’effetto oggi condiviso – salvo qualche residua impostazione contraria[3] – è quello, in presenza di tutti i canoni previsti, di poter riconoscere la qualifica ex art. 2 TUSIC anche in capo ad uno soltanto dei componenti l’organo apicale, ma anche di  poter individuare quale datore di lavoro “originario” un soggetto esterno a tale organo, purché, ovviamente, titolare dei poteri organizzativi, gestionali e di spesa in relazione all’impresa od alla singola unità produttiva.
Particolarmente chiara sul punto appare una recente pronuncia della Suprema Corte che, ribadendo l’autonomia del contesto definitorio del datore prevenzionistico  rispetto all’imprenditore, ne ricava il seguente principio: “datore di lavoro può essere anche il direttore di stabilimento; ma ciò accade se egli è stato provveduto dei poteri di gestione e di spesa congruo all’adozione di scelte organizzative”[4].
Con la normazione della facoltà di delega in capo al datore di lavoro, il legislatore del 2008 ha, inoltre, positivizzato all’interno dell’art. 16 del Testo Unico Sicurezza gli approdi di una decennale giurisprudenza, nobilitando uno strumento organizzativo – la delega di funzioni appunto – per anni avversato da chi lo riteneva un escamotage dell’imprenditore per alleggerire la propria posizione di garanzia.
L’uscita della delega di funzioni dall’incertezza dell’elaborazione giurisprudenziale e l’ingresso nei certi canoni del dettato normativo, unitamente ad una visione del datore di lavoro prevenzionistico sempre più disancorata dalla concezione imprenditoriale-civilistica, rappresentano senza dubbio la concretizzazione dello sforzo normativo e giurisprudenziale di adeguare la disciplina della materia alla evoluzione delle realtà aziendali moderne.
Nella medesima ottica va, certamente, interpretata anche l’introduzione - con D.Lgs 106/2009 - della facoltà di subdelega in capo al delegato “di primo livello”[5].
In generale, pare potersi leggere tra le righe di simile evoluzione una volontà in netta controtendenza rispetto al passato.
Mentre, dapprima, la figura del datore di lavoro era strettamente legata al concetto di imprenditore civilistico e lo strumento della delega ammesso quale eccezione alla regola (che vedeva la posizione di garanzia datoriale quale onere sempre incombente sull’imprenditore), oggi tale rigidità interpretativa sembra completamente superata.
La previsione all’interno del Testo Unico della facoltà datoriale di un doppio livello di delega (art. 16 comma 3-bis D.Lgs 81/08) se, da un lato, appare legata ad un affinamento del “principio di effettività” che permea l’intero sistema della sicurezza sul lavoro, dall’altro porta il segno di una visione più attuale delle complessità organizzative e dimensionali delle aziende all’interno delle quali la legge va applicata.
Il legislatore, con una valutazione assolutamente condivisibile, sembra comprendere che ancorare esclusivamente alla legale rappresentanza i pregnanti doveri prevenzionistici dettati dalla normativa significa, per un verso, attribuire responsabilità ai limiti dell’esigibile nei confronti di soggetti sostanzialmente privi delle capacità di governarle e, dall’altro, svuotare di contenuto la garanzia del bene giuridico tutelato.
Ciò vale – soprattutto in relazione a grandi realtà aziendali, con molteplici sedi anche territorialmente distanti - a maggior ragione per le imprese multinazionali i cui vertici sono rappresentati da organi apicali composti da soggetti stranieri, magari residenti all’estero, magari giuridicamente vincolati da normative differenti rispetto a quella italiana.
L’individuazione, anche in via formale, di un datore di lavoro prevenzionistico unico, eventualmente al dì fuori del Consiglio di Amministrazione, permette di evitare che le frammentazioni decisionali possano trasformarsi nell’incerta individuazione delle responsabilità e consente al titolare dei poteri in materia di sicurezza di esercitarli pienamente e senza il rischio di ingerenze.
Anche in materia di salute e sicurezza del lavoro, la chiarezza nell’individuazione dei ruoli e dei compiti costituisce la base di un corretto assetto organizzativo ed è, peraltro, esplicitamente pretesa dal legislatore allorquando, in tema di Modelli di Organizzazione e gestione si richiede: “un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche ei poteri necessari per la verifica, valutazione gestione e controllo del rischio”[6].
Lo stesso legislatore riconosce dunque il fondamento della corretta gestione degli aspetti di sicurezza dei lavoratori in azienda in nella pianificazione puntuale dell’organizzazione di ruoli e compiti.
In parallelo con gli aspetti produttivi dell’azienda, emerge il principio in base al quale, la realizzazione di ogni obiettivo di sicurezza debba necessariamente passare attraverso l’identificazione dei ruoli e dei compiti di ogni attore coinvolto.
In questo senso, è stato osservato che, ancor prima dell’effettiva definizione del sistema delle deleghe, svolga un ruolo fondamentale la costruzione dell’organigramma della sicurezza, quale “strumento primario di organizzazione del lavoro[7]” .
Tramite un articolato, ponderato e soggettivamente congruo sistema di individuazione dei ruoli prevenzionistici e di deleghe ed eventuali sub-deleghe è, dunque, oggi possibile avvicinare i reali gestori della sicurezza alle connesse responsabilità, ovvero dare concreta realizzazione al “principio di effettività”, perno intorno a cui ruota l’intero sistema,  normato all’art. 299 del D.Lgs 81/08[8].
Preso atto dello sforzo evolutivo di cui sopra, occorre valutarne l’adeguatezza rispetto ai moderni sistemi organizzativi aziendali.
Si deve, in primo luogo, osservare che, per quanto l’organizzazione della sicurezza - il cui fine è la garanzia della salute dei lavoratori – non possa tendere ad una completa sovrapponibilità con quella funzionale - la cui finalità è la realizzazione del core business aziendale – occorre che la prima tragga il proprio fondamento dalla seconda.
E’ stato osservato che “l’organigramma della sicurezza (il quale costituisce uno dei contenuti obbligatori specifici del documento di valutazione dei rischi: art. 28, comma 2, lett. d) del TUSIC) non è che l’esito di un percorso di “drenaggio concettuale” a muovere dall’organigramma generale (operativo)[9]”.
E’ chiaro che, per poter verificare l’adesione tra organigramma operativo e funzionale, occorre innanzitutto chiedersi in cosa quest’ultimo consista.
Infatti, se sotto il profilo delle responsabilità originarie e di fatto (ai sensi dell’art. 299 D.Lgs 81/08) è possibile, partendo dall’organigramma funzionale, individuare (e, si badi bene, non “attribuire il ruolo al”) il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti, tale indicazione difficilmente potrà declinare le attribuzioni di ciascun soggetto, come invece accade per l’organigramma operativo.
Ciò per una questione di impostazioni e di fonti.
In primo luogo, il sistema su cui ruota la sicurezza sul lavoro, pur alla luce delle evoluzioni sopra descritte, tende alla verticalizzazione di competenze e responsabilità in capo ad un gruppo di persone limitato, mentre l’organizzazione produttiva tende a favorire il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle persone per aree di specializzazione o per funzione, pur essendo esse supervisionate da un manager funzionale o da un responsabile di funzione.
In secondo luogo, mentre l’organizzazione aziendale è lasciata alla completa libertà imprenditoriale al fine del raggiungimento di uno scopo economico, l’organizzazione della sicurezza ha natura pubblicistica ed è disciplinato da un sistema di regole rigido e non negoziabile.
Vi è un ulteriore aspetto: se in un organizzazione aziendale di tipo funzionale, l’individuazione dei ruoli della sicurezza risulta relativamente immediata, questa operazione logica risulta assai più complessa nel caso in cui l’azienda si sia data un’organizzazione di tipo “matriciale”.
L’organizzazione matriciale, che nasce per l’esigenza di agevolare lo sviluppo di progetti all’interno di una struttura funzionale, comporta che i soggetti che lavorano su progetti si trovino ad avere – ad esempio - due “capi” e due linee di riporto: il manager funzionale verticalmente ed il responsabile di progetto orizzontalmente.
La distanza tra organigramma della sicurezza (che è di tipo necessariamente funzionale/verticale) ed organigramma “produttivo”, in questi casi, tende dunque ad accentuarsi maggiormente.
In simile ipotesi, la costruzione dell’organigramma della sicurezza e l’individuazione dei compiti e dei rapporti gerarchici tra i soggetti coinvolti appare più complessa e dev’essere svolta tenendo a mente i principi che regolano la materia della salute e sicurezza del lavoro.
Occorre, infatti, considerare che il criterio per la valutazione della bontà del sistema delineato è sempre costituito dall’ “effettività”, così come affermato dalla Suprema Corte[10]: “L’accertamento della qualità di destinatario delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro va compiuto in concreto con riferimento alle mansioni svolte e alla specifica sfera di responsabilità attribuita. Il richiamo alla delega di funzioni non è pertinente, poiché, se da un lato il sistema prevede che il datore possa delegare la maggior parte delle funzioni che attengono alla sua sfera di responsabilità dall’altro lato esso non richiede che i singoli soggetti individuati quali dirigenti e quali preposti ai sensi di legge, debbano essere muniti di una delega ad hoc ai fini dell’assunzione della responsabilità che la legge demanda loro. Tale sfera di responsabilità è infatti autonomamente conformata sul ruolo istituzionale che essi svolgono, secondo le rispettive attribuzioni e competenze, nell’ambito dell’organizzazione di impresa”.
In altre parole, nel valutare la bontà di un organigramma della sicurezza all’interno di un’organizzazione complessa, più che alla forma ed alle terminologie utilizzate per definire i rapporti tra i soggetti coinvolti, occorrerà verificarne i reali contenuti in relazione “alle mansioni svolte e alla specifica sfera di responsabilità attribuita”, per individuare le corrette gerarchie prevenzionistiche tra datore di lavoro, dirigenti e preposti.
Ciò vale anche nell’ipotesi in cui  -accanto al ruolo di fatto  derivante dalla legge- al dirigente sia stata, ad esempio, conferita una delega di funzioni di secondo livello (ex art. 16 comma 3-bis D.Lgs 81/08).
Per valutare la “tenuta” della delega nel caso in cui - in un’organizzazione matriciale - il sub-delegato si debba rapportare con due linee di riporto, ma abbia ricevuto l’incarico soltanto da uno dei due responsabili, il nodo della questione sarà dunque l’attento vaglio della sua possibilità di adempiere correttamente ai poteri delegati senza ingerenze.
Nel caso in cui, nonostante la doppia linea di riporto, il delegato non subisca ingerenze da parte del responsabile non delegante, la struttura della delega sarà efficace; in caso contrario sussisterà, invece, il consistente rischio di una duplicazione di responsabilità, con profili estesi – a titolo di esercizio di fatto di poteri direttivi – anche a carico del dirigente prevenzionistico privo di delega.
 Da ISL 10/15
[1] P. Soprani, Il datore di lavoro prevenzionistico: Cassazione inadeguata, in ISL – Igiene e Sicurezza del Lavoro, 2/2011
[2] «datore di lavoro»: il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo;
[3] Cass. Pen. sez. IV n. 38891/10
[4] Cass. Pen. sez. IV n. 37761/13 ric. Pagano e altro
[5] art. 16 comma 3-bis D.Lgs 81/08: “Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”

[6] art. 30 D.Lgs 81/08
[7] P. Soprani, op. cit.
[8] “Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.
[9] P. Soprani, op. cit.
[10] Cass. pen. Sez. IV , n. 47173/07
 

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